Quale Forma Deve Avere la Scrittura Privata

Con riferimento alla scrittura privata, l’art. 2702 c.c. prevede che la scrittura privata fa piena prova fino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale è prodotta ne riconosce la sottoscrizione ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta (in quanto autenticata ex art. 2703 c.c., o verificata ex art. 214 c.p.c.).

Sul piano processuale, il codice di procedura civile disciplina la verificazione di scrittura privata e la querela di falso.
Quanto alla prima, Part. 214 c.p.c. prevede che colui contro il quale è prodotta una scrittura privata, se intende disconoscerla, è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione, e che gli eredi o aventi causa possono limitarsi a dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione del loro autore.

A norma dell’art. 215 c.p.c., la scrittura privata prodotta in giudizio si ha per riconosciuta:
1) se la parte, alla quale la scrittura è attribuita o contro la quale è prodotta, è contumace, salva la disposizione dell’articolo 293, terzo comma;
2) se la parte comparsa non la disconosce o non dichiara di non conoscerla nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione.
Quando nei casi ammessi dalla legge la scrittura è prodotta in copia autentica, il giudice istruttore può concedere un termine per deliberare alla parte che ne fa istanza nei modi di cui al numero 2.
Secondo l’art. 216 c.p.c., la parte che intende valersi della scrittura disconosciuta deve chiederne la verificazione, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e producendo o indicando le scritture che possono servire di comparazione. L’istanza per la verificazione può anche proporsi in via principale con citazione, quando la parte dimostra di avervi interesse; ma se il convenuto riconosce la scrittura, le spese sono poste a carico dell’attore.
Quando è chiesta la verificazione, il giudice istruttore dispone le cautele opportune per la custodia del documento, stabilisce il termine per il deposito in cancelleria delle scritture di comparazione, nomina, quando occorre, un consulente tecnico e provvede all’ammissione delle altre prove. Nel determinare le scritture che debbono servire di comparazione, il giudice ammette, in mancanza di accordo delle parti, quella la cui provenienza dalla persona che si afferma autrice della scrittura è riconosciuta oppure accertata per sentenza di giudice o per atto pubblico (art. 217 c.p.c.).
Se le scritture di comparazione si trovano presso depositari pubblici o privati e l’asportazione non ne è vietata, il giudice istruttore può disporne il deposito in cancelleria in un termine da lui fissato. Se la comparazione deve eseguirsi nel luogo dove si trovano le scritture, il giudice dà le disposizioni necessarie per le operazioni, che debbono compiersi in presenza del depositarlo (art. 218 c.p.c.).

Il giudice istruttore può ordinare alla parte di scrivere sotto dettatura, anche alla presenza del consulente tecnico. Se la parte invitata a comparire personalmente non si presenta o rifiuta di scrivere senza giustificato motivo, la scrittura si può ritenere riconosciuta (art. 219 c.p.c.).

A norma dell’art. 220 c.p.c. sull’istanza di verificazione pronuncia sempre il collegio. Il collegio, nella sentenza che dichiara la scrittura o la sottoscrizione di mano della parte che l’ha negata, può condannare quest’ultima a una pena pecuniaria non inferiore a € 2 e non superiore a € 20.

In ordine alla querela di falso, l’art. 221 stabilisce che la querela di falso può proporsi tanto in via principale quanto in corso di causa in qualunque stato e grado di giudizio, finché la verità del documento non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato. La querela deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione degli elementi e delle prove della falsità e deve essere proposta personalmente dalla parte oppure a mezzo di procuratore speciale, con atto di citazione o con dichiarazione da unirsi al verbale d’udienza. È obbligatorio l’intervento nel processo del pubblico ministero.

Quando è proposta querela di falso in corso di causa, il giudice istruttore interpella la parte che ha prodotto il documento se intende valersene in giudizio. Se la risposta è negativa, il documento non è utilizzabile in causa; se è affermativa, il giudice, che ritiene il documento rilevante, autorizza la presentazione della querela nella stessa udienza o in una successiva; ammette i mezzi istruttori che ritiene idonei, e dispone i modi e i termini della loro assunzione (art. 222 c.p.c.).

Nell’udienza in cui è presentata la querela, si forma processo verbale di deposito nelle mani del cancelliere del documento impugnato. Il processo verbale è redatto in presenza del pubblico ministero e delle parti, e deve contenere la descrizione dello stato in cui il documento si trova, con indicazione delle cancellature, abrasioni, aggiunte, scritture interlineari e di ogni altra particolarità che vi si riscontra. Il giudice istruttore, il pubblico ministero e il cancelliere appongono la firma sul documento. Il giudice può anche ordinare che di esso sia fatta copia fotografica (art. 223 c.p.c.).
Se il documento impugnato di falso si trova presso un depositario, il giudice istruttore può ordinarne il sequestro con le forme previste nel codice di procedura penale, dopo di che si redige il processo verbale di cui all’articolo precedente. Se non è possibile il deposito del documento in cancelleria, il giudice dispone le necessarie cautele per la conservazione di esso e redige il processo verbale alla presenza del depositario, nel luogo dove il documento si trova (art. 224 c.p.c.).

Ai sensi dell’articolo seguente, sulla querela di falso pronuncia sempre il collegio. Il giudice istruttore può rimettere le parti al collegio per la decisione sulla querela indipendentemente dal merito. In tal caso, su istanza di parte, può disporre che la trattazione della causa continui davanti a sé relativamente a quelle domande che possono essere decise indipendentemente dal documento impugnato.

Il collegio, con la sentenza che rigetta la querela di falso, ordina la restituzione del documento e dispone che, a cura del cancelliere, sia fatta menzione della sentenza sull’originale o sulla copia che ne tiene luogo; condanna inoltre la parte querelante a una pena pecuniaria non inferiore a € 2 e non superiore a € 20. Con la sentenza che accerta la falsità il collegio, anche d’ufficio, dà le disposizioni di cui all’articolo 480 del codice di procedura penale (art. 226 c.p.c.).

Secondo il disposto dell’art. 227, l’esecuzione della sentenza che ha pronunciato sulla querela non può aver luogo prima che sia passata in giudicato. Se non è richiesta dalle parti, l’esecuzione è promossa dal pubblico ministero a spese del soccombente con l’osservanza, in quanto applicabili, delle norme dell’articolo 481 del codice di procedura penale.